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I luoghi comuni del golf
a cura di Paolo Croce

Il mondo è pieno di luoghi comuni, lo sappiamo bene, ma sappiamo anche che a volte la realtà fatica a venir fuori, nascosta com’è da una coltre di superficialità di conformismo. Pensiamo ad esempio come per anni mezzi di comunicazione e fior di opinionisti ci hanno propinato la teoria dell’autocombustione per giustificare incendi (dolosi e no) dei boschi e foreste. Solo recentemente si è avuto il coraggio di ammettere che nelle nostre condizioni climatiche tale fenomeno è da considerarsi praticamente impossibile e che per ogni incendio che colpisce la vegetazione c’è sempre legata una causa (consapevole o inconsapevole) umana.
Anche il golf, da questo punto di vista, non è da meno. Per quanto riguarda le Regole, ad esempio, aneddoti ve ne sono in gran quantità: da la palla “disturbata” alla “bandiera mossa”, è tutto un fiorire di svarioni colossali e di convinzioni inossidabili al tempo e alla memoria.
Tra i tanti luoghi comuni che popolano le chiacchiere golfistiche di tutti i giorni alcuni si distinguono per la difficoltà che i tecnici incontrano nel cercare di ripristinare la verità scientifica in luogo della leggenda metropolitana. Nel passato ai miei allievi presso la Scuola Nazionale di Golf, ed in particolare nei corsi rivolti agli aspiranti allievi Segretari, abbiamo addirittura predisposto un elenco delle principali “credenze golfistiche” e ci siamo adoperati per fornire argomentazioni tecniche che confutino tali radicate opinioni. Vediamo di fornire qualche esempio:

Si dice che irrigare in pieno sole è nocivo all’erba in quanto provoca ustioni fogliari. Quando infatti Il raggio di sole attraversa la goccia d’acqua posata sulla foglia, si verifica il fenomeno denominato “effetto lente” per cui aumenta l’intensità di irradiazione, danneggiando i tessuti fogliari.
Niente di più falso. Una delle più comuni pratiche manutentive prende il nome di “Syringing” e consiste nella somministrazione al tappeto di bassi volumi di acqua (2 – 5 minuti) un paio d’ore prima il verificarsi delle massime temperature giornaliere. Lo scopo è quello di abbassare la temperatura del tappeto erboso (oltre i 30 °C si arriva anche alla morte del tappeto se esso è costituito in buona parte da Poa annua) in quanto evaporando, l’acqua depositata sulle foglie raffredda l’interno dell’apparato vegetativo. Possiamo così affermare senza tema di smentite che da un punto di vista agronomico sarebbe senz’altro preferibile una irrigazione diurna piuttosto che notturna. Naturalmente altre considerazioni (maggiore consumo idrico, ma soprattutto necessità di avere il campo sgombro per i golfisti e per le manutenzioni) ci obbligano poi ad irrigazioni notturne o meglio ancora di prima mattina.

Si dice che il nap dell’erba (in particolare sui greens) è sempre indirizzato verso un bacino idrico e/o un corso d’acqua. Occorre tenere presente questo fatto per impostare le traiettorie sul putting.
Anche in questo caso non c’è nulla di vero. Ciò che i vecchi golfisti chiamano nap viene più opportunamente definito grain dai tecnici. Si tratta in realtà della posizione dell’erba che è spesso inclinata verso la stessa direzione. Tale inclinazione, che certamente infastidisce non poco il giocatore, è determinata dall’azione dell’operatore addetto al taglio che effettua l’operazione sempre nella stessa direzione. Naturalmente questo non significa che l’operatore sia un incapace, ma semplicemente che la particolare conformazione di certi greens (magari contornati da mounds, corsi d’acqua, bunkers, e altro ancora) non permettono di incrociare i tagli con le macchine a tre elementi di taglio. Unica soluzione per limitare questi problemi (oltre evidentemente a progettare e costruire i greens in funzione delle necessità manutentive) consiste nell’uso di spazzole, pettini, groomer, verticutter o di una macchina singola di taglio. Bisogna poi ricordare che specie e cultivars possono avere un portamento del culmo e delle foglie più o meno eretto e che, in alcuni casi, un portamento più prostrato può essere principalmente un fattore genetico, piuttosto che di adattamento alle condizioni di manutenzione.

Si dice che quanto più l’erba è bassa e tanto migliori siano le condizioni di gioco.
Questo è certamente vero in quanto un tappeto erboso mantenuto a basse altezze di taglio (intorno ai 12 / 13 mm) permette un migliore lie della palla. Un buon lie della palla consente evidentemente a un buon giocatore di avere un contatto completo tra faccia del bastone e superficie della palla. Tale pienezza di contatto è indispensabile per imprimere alla traiettoria del colpo quegli effetti denominati draw, fade, backspin, ecc. Se però non si è tecnicamente in grado di imprimere correttamente questi effetti, è probabilmente molto meglio poter contare su una maggiore altezza di taglio (diciamo intorno ai 20 / 22 mm) in modo che la palla “galleggi” sulla superficie del tappeto e possa essere colpita quasi come fosse sul tee. Ciò evidentemente a patto che il tappeto erboso sia preparato alla perfezione. In ogni caso l’altezza di taglio non è un parametro che possiamo sceglierci. Esso dipende infatti dalla qualità dell’erba insediata. Per tagli intorno ai 12 / 13 mm abbiamo solo due specie tolleranti: Agrostis stolonifera e Bermuda (Cynodon dactylon x Cynodon transvaalensis). Ovviamente non consideriamo la Poa annua che è da classificarsi a tutti gli effetti come una infestante. Per tutti gli altri tipi di tappeto erboso è d’obbligo avere altezze di taglio non inferiori ai 20 mm. Fa eccezione il caso del Lolium perenne in purezza , che però richiede trasemine annuali.

Si dice la sabbia e i topdressings in genere “brucino l’erba”.
Non esiste documentazione scientifica a questo proposito. Le eventuali ustioni fogliari o comunque lesioni più o meno vaste sui tessuti delle lamine fogliari a volte riscontrate, sono molto più probabilmente addebitabili ad altri fattori. L’uso della sabbia (da sola o in miscuglio con sostanze organiche) è indispensabile per la manutenzione dei tappeti erbosi ad intenso uso sportivo. A volte le lesioni possono dipendere da un utilizzo troppo drastico delle reti di metallo a maglie snodabili utilizzate per stendere la sabbia di topdressing.

Si dice che maggiore è l’intensità del colore verde del tappeto e migliore sono le condizioni di salute dello stesso.
Niente di più falso. Lo stato di salute di un tappeto erboso è ben testimoniabile dal grado di salute, dallo sviluppo, dalla profondità dell’apparato radicale. Spesso anzi una intensa colorazione verde può essere sintomo di possibili guai in arrivo (sensibilità a stress idrici e termici, logorio, malattie fungine, e via di questo passo). Gli innamorati del “verde” a tutti i costi spesso non rendono un buon servizio alla causa di una manutenzione accurata e di qualità del proprio tappeto erboso.

Si dice che maggiori sono i livelli di irrigazione e fertilizzazione azotata e migliore sarà lo stato di salute del tappeto.
Non c’è nulla di vero in questo. In agronomia esiste sempre il concetto di “giusta dose”, ogni prodotto cioè deve essere apportato in misura adeguata evitando estremi minimi e massimi. Nel caso specifico un eccesso di fertilizzazione azotata e/o di acqua può provocare un indebolimento dei tessuti vegetali e la loro predisposizione a danni da freddo, caldo, logorio, ecc.

Si dice che le operazioni di carotatura riducano il tappeto erboso in condizioni pietose e non è possibile esercitare attività agonistica per periodi prolungati.
Questo è falso. Le moderne tecniche operative tendono a ridurre fortemente il periodo di inagibilità del percorso. A questo scopo ad esempio si intensificano le operazioni di topdressings dopo la carotatura. Oggigiorno, purché ben attrezzati dal punto di vista dei macchinari e della manodopera, si è tecnicamente in grado di compiere queste operazioni in tempi molto brevi (da 1 a 2 gg per carotatura e topdressing di 18 greens e da 10 a 20 gg per carotatura e topdressing di 18 fairways).

Sempre a proposito di carotature si dice che esse vadano eseguite a fine stagione vegetativa.
Assolutamente da evitare. Qualsiasi operazione di aerificazione (carotatura in primo luogo) va effettuata tenendo presente che, dopo l’effettuazione dell’operazione, il tappeto necessita di un periodo di buona crescita vegetativa di almeno 4 / 6 settimane. Momenti stagionali migliori, nelle condizioni climatiche della pianura Padana, risultano essere fine agosto / inizi settembre e i mesi di marzo e aprile (in quest’ultimo caso solo se non si temono forti invasioni di erbe infestanti). A volte tali periodi non sono pienamente rispettati, nel senso che si è tentati di anticipare l’effettuazione della carotatura. Tale eventuale decisione è ovviamente frutto di altre considerazioni (calendario gare, condizioni climatiche, strategie di programmazione manutentiva, situazioni particolari di stress, ecc) che qui sarebbe troppo lungo affrontare.

Si dice che rimettere a posto i pitch marks sui greens è solo un pallino del Segretario e / o del Superintendents.
Assolutamente falso. Questa cattiva abitudine non è affatto un pallino degli addetti ai lavori, ma causa ingenti danni al tappeto, contribuendo tra l’altro a ridurre la scorrevolezza della superficie stessa. Secondo il Prof. James Beard, unanimemente ritenuto uno dei massimi esperti mondiali sul tappeto erboso, proprio il mancato ripristino dei pitch marks è da ritenersi una delle maggiori cause di diffusione di Poa annua sui greens (si interrompe l’uniformità del tappeto, creando potenziali siti di invasione di semi estranei). I danni maggiori si verificano a seguito del taglio, in quanto il bordo sollevato del ball mark viene spesso asportato dalla controlama della macchina di taglio, causando scalping.

Si dice che nelle gare più importanti un taglio bi - giornaliero dei greens, e del tappeto in genere, migliora la qualità del tappeto e ne aumenta la scorrevolezza.
Vero solo in piccola parte. Tale affermazione deriva da una confusione tra due modalità di taglio: il taglio bi - giornaliero appunto e il doppio taglio. Il primo in realtà è poco utile in quanto tagliere nuovamente i greens al pomeriggio dopo il passaggio dei concorrenti ha scarso significato, considerando che l’80 % circa dell’accrescimento vegetativo avviene durante la notte. L’unico motivo per cui può avere un senso il taglio bi - giornaliero è quando non si ha la certezza di poter compiere l’operazione nel mattino successivo. Diverso invece il concetto del doppio taglio che viene normalmente praticato al mattino prima delle partenze dei giocatori. In questo caso un taglio in una direzione, doppiato da un altro taglio, incrociato al precedente, consente di migliorare sensibilmente la qualità del tappeto e di acquisire maggiore levigatezza.

Si dice che irrigare in pieno sole è nocivo all’erba in quanto provoca ustioni fogliari. Quando infatti Il raggio di sole attraversa la goccia d’acqua posata sulla foglia, si verifica il fenomeno denominato “effetto lente” per cui aumenta l’intensità di irradiazione, danneggiando i tessuti fogliari.
Niente di più falso. Una delle più comuni pratiche manutentive prende il nome di “Syringing” e consiste nella somministrazione al tappeto di bassi volumi di acqua (2 – 5 minuti) un paio d’ore prima il verificarsi delle massime temperature giornaliere. Lo scopo è quello di abbassare la temperatura del tappeto erboso (oltre i 30 °C si arriva anche alla morte del tappeto se esso è costituito in buona parte da Poa annua) in quanto evaporando, l’acqua depositata sulle foglie raffredda l’interno dell’apparato vegetativo. Possiamo così affermare senza tema di smentite che da un punto di vista agronomico sarebbe senz’altro preferibile una irrigazione diurna piuttosto che notturna. Naturalmente altre considerazioni (maggiore consumo idrico, ma soprattutto necessità di avere il campo sgombro per i golfisti e per le manutenzioni) ci obbligano poi ad irrigazioni notturne o meglio ancora di prima mattina.

Si dice che il nap dell’erba (in particolare sui greens) è sempre indirizzato verso un bacino idrico e/o un corso d’acqua. Occorre tenere presente questo fatto per impostare le traiettorie sul putting.
Anche in questo caso non c’è nulla di vero. Ciò che i vecchi golfisti chiamano nap viene più opportunamente definito grain dai tecnici. Si tratta in realtà della posizione dell’erba che è spesso inclinata verso la stessa direzione. Tale inclinazione, che certamente infastidisce non poco il giocatore, è determinata dall’azione dell’operatore addetto al taglio che effettua l’operazione sempre nella stessa direzione. Naturalmente questo non significa che l’operatore sia un incapace, ma semplicemente che la particolare conformazione di certi greens (magari contornati da mounds, corsi d’acqua, bunkers, e altro ancora) non permettono di incrociare i tagli con le macchine a tre elementi di taglio. Unica soluzione per limitare questi problemi (oltre evidentemente a progettare e costruire i greens in funzione delle necessità manutentive) consiste nell’uso di spazzole, pettini, groomer, verticutter o di una macchina singola di taglio. Bisogn poi ricordare che specie e cultivars possono avere un portamento del culmo e delle foglie più o meno eretto e che, in alcuni casi, un portamento più prostrato può essere principalmente un fattore genetico, piuttosto che di adattamento alle condizioni di manutenzione.

Si dice che quanto più l’erba è bassa e tanto migliori siano le condizioni di gioco.
Questo è certamente vero in quanto un tappeto erboso mantenuto a basse altezze di taglio (intorno ai 12 / 13 mm) permette un migliore lie della palla. Un buon lie della palla consente evidentemente a un buon giocatore di avere un contatto completo tra faccia del bastone e superficie della palla. Tale pienezza di contatto è indispensabile per imprimere alla traiettoria del colpo quegli effetti denominati draw, fade, backspin, ecc. Se però non si è tecnicamente in grado di imprimere correttamente questi effetti, è probabilmente molto meglio poter contare su una maggiore altezza di taglio (diciamo intorno ai 20 / 22 mm) in modo che la palla “galleggi” sulla superficie del tappeto e possa essere colpita quasi come fosse sul tee. Ciò evidentemente a patto che il tappeto erboso sia preparato alla perfezione. In ogni caso l’altezza di taglio non è un parametro che possiamo sceglierci. Esso dipende infatti dalla qualità dell’erba insediata. Per tagli intorno ai 12 / 13 mm abbiamo solo due specie tolleranti: Agrostis stolonifera e Bermuda (Cynodon dactylon x Cynodon transvaalensis). Ovviamente non consideriamo la Poa annua che è da classificarsi a tutti gli effetti come una infestante. Per tutti gli altri tipi di tappeto erboso è d’obbligo avere altezze di taglio non inferiori ai 20 mm. Fa eccezione il caso del Lolium perenne in purezza , che però richiede trasemine annuali.

Si dice la sabbia e i topdressings in genere “brucino l’erba”.
Non esiste documentazione scientifica a questo proposito. Le eventuali ustioni fogliari o comunque lesioni più o meno vaste sui tessuti delle lamine fogliari a volte riscontrate, sono molto più probabilmente addebitabili ad altri fattori. L’uso della sabbia (da sola o in miscuglio con sostanze organiche) è indispensabile per la manutenzione dei tappeti erbosi ad intenso uso sportivo. A volte le lesioni possono dipendere da un utilizzo troppo drastico delle reti di metallo a maglie snodabili utilizzate per stendere la sabbia di topdressing.

Si dice che maggiore è l’intensità del colore verde del tappeto e migliore sono le condizioni di salute dello stesso.
Niente di più falso. Lo stato di salute di un tappeto erboso è ben testimoniabile dal grado di salute, dallo sviluppo, dalla profondità dell’apparato radicale. Spesso anzi una intensa colorazione verde può essere sintomo di possibili guai in arrivo (sensibilità a stress idrici e termici, logorio, malattie fungine, e via di questo passo). Gli innamorati del “verde” a tutti i costi spesso non rendono un buon servizio alla causa di una manutenzione accurata e di qualità del proprio tappeto erboso.

Si dice che maggiori sono i livelli di irrigazione e fertilizzazione azotata e migliore sarà lo stato di salute del tappeto.
Non c’è nulla di vero in questo. In agronomia esiste sempre il concetto di “giusta dose”, ogni prodotto cioè deve essere apportato in misura adeguata evitando estremi minimi e massimi. Nel caso specifico un eccesso di fertilizzazione azotata e/o di acqua può provocare un indebolimento dei tessuti vegetali e la loro predisposizione a danni da freddo, caldo, logorio, ecc.

Si dice che le operazioni di carotatura riducano il tappeto erboso in condizioni pietose e non è possibile esercitare attività agonistica per periodi prolungati.
Questo è falso. Le moderne tecniche operative tendono a ridurre fortemente il periodo di inagibilità del percorso. A questo scopo ad esempio si intensificano le operazioni di topdressings dopo la carotatura. Oggigiorno, purché ben attrezzati dal punto di vista dei macchinari e della manodopera, si è tecnicamente in grado di compiere queste operazioni in tempi molto brevi (da 1 a 2 gg per carotatura e topdressing di 18 greens e da 10 a 20 gg per carotatura e topdressing di 18 fairways).

Sempre a proposito di carotature si dice che esse vadano eseguite a fine stagione vegetativa.
Assolutamente da evitare. Qualsiasi operazione di aerificazione (carotatura in primo luogo) va effettuata tenendo presente che, dopo l’effettuazione dell’operazione, il tappeto necessita di un periodo di buona crescita vegetativa di almeno 4 / 6 settimane. Momenti stagionali migliori, nelle condizioni climatiche della pianura Padana, risultano essere fine agosto / inizi settembre e i mesi di marzo e aprile (in quest’ultimo caso solo se non si temono forti invasioni di erbe infestanti). A volte tali periodi non sono pienamente rispettati, nel senso che si è tentati di anticipare l’effettuazione della carotatura. Tale eventuale decisione è ovviamente frutto di altre considerazioni (calendario gare, condizioni climatiche, strategie di programmazione manutentiva, situazioni particolari di stress, ecc) che qui sarebbe troppo lungo affrontare.

Si dice che rimettere a posto i pitch marks sui greens è solo un pallino del Segretario e / o del Superintendents.
Assolutamente falso. Questa cattiva abitudine non è affatto un pallino degli addetti ai lavori, ma causa ingenti danni al tappeto, contribuendo tra l’altro a ridurre la scorrevolezza della superficie stessa. Secondo il Prof. James Beard, unanimemente ritenuto uno dei massimi esperti mondiali sul tappeto erboso, proprio il mancato ripristino dei pitch marks è da ritenersi una delle maggiori cause di diffusione di Poa annua sui greens (si interrompe l’uniformità del tappeto, creando potenziali siti di invasione di semi estranei). I danni maggiori si verificano a seguito del taglio, in quanto il bordo sollevato del ball mark viene spesso asportato dalla controlama della macchina di taglio, causando scalping.

Si dice che nelle gare più importanti un taglio bi - giornaliero dei greens, e del tappeto in genere, migliora la qualità del tappeto e ne aumenta la scorrevolezza.
Vero solo in piccola parte. Tale affermazione deriva da una confusione tra due modalità di taglio: il taglio bi - giornaliero appunto e il doppio taglio. Il primo in realtà è poco utile in quanto tagliere nuovamente i greens al pomeriggio dopo il passaggio dei concorrenti ha scarso significato, considerando che l’80 % circa dell’accrescimento vegetativo avviene durante la notte. L’unico motivo per cui può avere un senso il taglio bi - giornaliero è quando non si ha la certezza di poter compiere l’operazione nel mattino successivo. Diverso invece il concetto del doppio taglio che viene normalmente praticato al mattino prima delle partenze dei giocatori. In questo caso un taglio in una direzione, doppiato da un altro taglio, incrociato al precedente, consente di migliorare sensibilmente la qualità del tappeto e di acquisire maggiore levigatezza.




Velocità, che passione!
a cura di Paolo Croce


Pur riconoscendo ad un buon Superintendent la necessità di estraniarsi quanto più possibile dai pettegolezzi, critiche e commenti che spesso animano i nostri Club Houses a proposito delle condizioni dei percorsi di gioco, non c’è dubbio che egli debba per forza di cose rendersi interprete delle esigenze e delle aspettative qualitative che i golfisti manifestano. Delle tante puntualizzazioni fatte a proposito (o a sproposito) della manutenzione di un percorso di golf un paio di argomenti sembrano accomunare golfisti di tutto il mondo: la cosiddetta “velocità” dei greens e l’altezza di taglio dei fairways. Poiché questo secondo punto merita una trattazione a parte, vorrei focalizzare l’attenzione sui greens, non a caso i tappeti erbosi più importanti visto che il 75 % dei colpi di un buon giocatore sono giocati o indirizzati su queste superfici.
Vi sarà spesso capitato di sentir dire da un vostro amico golfista, prima che vi snoccioli il resoconto numerico buca per buca della sua odissea agonistica, la frase di rito:”…ho giocato bene, ma puttato male…”. Non badando al luogo comune e alla inconsistenza della affermazione (come se il gioco sui greens non facesse parte del gioco del golf), il più delle volte il giocatore (da fairway?) non manca di aggiungere a parziale giustificazione:” …d’altronde come avrei potuto far meglio con quei greens così lenti? “.
La lentezza dei greens, o per meglio dire, la loro insufficiente scorrevolezza è infatti di gran lunga la più comune critica che i golfisti sono indotti a fare al Superintendent di un percorso di golf. Spesso si tratta di lamentele motivate, a volte di pretestuose scuse per l’inefficienza del proprio putting, a volte ancora di errate percezioni sensoriali.
Proprio allo scopo di rendere oggettive critiche che si basavano su sensazioni soggettive nel 1935 il Campione dilettanti dello stato del Massachusetts Edward S. Stimpson realizzò uno strumento, passato poi alla storia golfistica con il nome di Stimpmeter, in grado di misurare quantitativamente il grado di scorrevolezza di una superficie erbosa. Nel corso degli anni 70’ tale strumento venne modificato dal Dipartimento Tecnico della U.S.G.A. e fu reso ufficialmente disponibile ai Superintendents nel 1978.
Di per sé lo Stimpmeter è uno strumento molto semplice. Si tratta infatti di una barra di alluminio di 91 cm di lunghezza avente una superficie di scorrimento della pallina conformata a forma di V con una angolazione di 145 gradi. Su questa superficie a circa 5/6 della lunghezza è realizzata una tacca nella quale inserire la pallina. L’estremità della barra che rimane congiunta al suolo presenta una smussatura che consente alla pallina di evitare rimbalzi indesiderati quando, correndo lungo la superficie a V, arriva a contatto del tappeto erboso. Il funzionamento dello Stimpmeter è altrettanto semplice, ma assicura una scientifica rigorosità di risultati. Una pallina viene inserita sulla tacca e con due dita si solleva l’estremità della barra più vicina alla tacca, mantenendo l’estremità opposta a contatto con il tappeto. Con movimento del braccio regolare e costante si continua a sollevare la barra e quando questa raggiunge un angolo di circa 20 gradi rispetto al suolo, la pallina esce dalla tacca e rotola lungo la superficie a V. Poiché lo stacco della pallina avviene sempre alla stessa altezza dal suolo, ne deriva che la pallina possiede sempre la stessa accelerazione e di conseguenza, poiché la lunghezza della barra è data, essa uscirà dalla barra stessa sempre alla medesima velocità. Se ne deduce che la lunghezza della corsa della pallina sul tappeto, facilmente misurabile, dipenderà solo dal grado di attrito che la stessa avrà trovato sulla superficie, e la misura ottenuta ne esprimerà il grado di scorrevolezza.
Ovviamente occorrono alcuni importanti accorgimenti nel procedere alla misurazione di un green. In primo luogo bisogna selezionare all’interno del green un’area sufficientemente livellata per evitare errori di campionamento. Per far ciò un sistema grossolano, ma sufficientemente approssimativo, consiste nel porre una pallina nella superficie a V. I movimenti della stessa in un senso o nell’altro potranno indicare se l’area prescelta sia o meno ragionevolmente livellata. Il passo successivo consiste nell’utilizzare lo Stimpmeter, come già indicato, con tre palline in una direzione e successivamente con altre tre palline nella direzione opposta. Le misurazioni vengono considerate valide se le tre palline rimangono all’interno di un immaginario quadrato avente circa 20 cm di lato. Quando questo avviene si potrà sommare la media delle distanze ottenute dalla prima misurazione, poi calcolare la media delle distanze ottenute con la misurazione nella direzione opposta ed infine calcolare la media delle medie ottenute. Il dato che avremo espresso in metri sarà indice del grado di scorrevolezza della superficie.
Tanto per dare una idea riportiamo le categorie di scorrevolezza che la USGA indica a titolo di esempio:

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Inutile forse ricordare a tutti che nessuna misurazione è confrontabile con un’altra dal punto di vista del valore assoluto se vengono a mancare i seguenti requisiti: uniformità di substrato (green in terra o in USGA System), stessa altezza di taglio, medesime condizioni climatiche e ambientali nel corso del rilevamento, medesima persona addetta al rilevamento stesso. In realtà le prestazioni dello Stimpmeter sono molto utili al Superintendent in quanto sulla base delle misurazioni ottenute egli sarà in grado di stimare le differenze relative tra una superficie e l’altra e potrà ottenere informazioni sul grado di uniformità e densità del tappeto, sulla presenza di muschio, Poa annua ed altre infestanti varie, sulla presenza di crittogame o di altre avversità, sulla regolarità delle fertilizzazioni soprattutto azotate, sulla efficacia degli interventi di topdressings e di quelli di grooming o verticutting, nonché sulla bontà delle operazioni di aerificazione.
Allo scopo di accertare il grado di scostamento delle percezioni individuali del golfista al momento del putting, dal dato scientifico ottenuto con lo Stimpmeter, e quindi al fine di valutare quanto poi sia attendibile l’eventuale giudizio del giocatore sul grado di levigatezza di una superficie, la Green Section della U.S.G.A. ha condotto un interessante esperimento nella primavera del 1999, presso il centro sperimentale della Michigan State University, su greens in Agrostis stolonifera Penncross. La domanda che i ricercatori si sono posti era la seguente:” Sono realmente in grado i golfisti di percepire variazioni di scorrevolezza dei greens e quindi di valutare correttamente se una superficie è più o meno scorrevole di un’altra?”. Per rispondere a questo quesito sono stati selezionati 30 giocatori con hcp variabile da 0 a oltre 30 e sono stati fatti giocare su greens appositamente preparati a diverse scorrevolezze misurate allo Stimpmeter. Compito dei giocatori era quello di individuare i greens più “veloci” affidandosi solo al proprio feeling sul putt. I risultati di tale prova scientifica sono stati assai interessanti. E’ emerso infatti che la media dei giocatori non era in grado di percepire differenze di scorrevolezza pari a 15 cm allo Stimpmeter indipendentemente dal grado iniziale di “velocità” del green. Al contrario differenze pari a 30 cm, rispetto al grado iniziale di velocità del green, venivano percepite solo in presenza di greens “lenti” allo Stimpmeter, mentre tali differenze venivano molto più difficilmente avvertite quando si era in presenza di greens “veloci”. Da questo punto di vista l’esperimento ha dimostrato che differenze di 30 cm in velocità hanno meno possibilità di essere percepite se la velocità base del green è superiore ai 2,70 m misurati allo Stimpmeter.
Quindi sul piano pratico: non impazziamo per ottenere incrementi in scorrevolezza intorno ai 15 cm, questo perché pochissimi golfisti sarebbero in grado di apprezzarli; medesimo discorso quando abbiamo greens già veloci allo Stimpmeter, oltre i 2,7 m. anche incrementi notevoli (intorno ai 30 cm) sarebbero poco avvertiti dai golfisti. Tali incrementi invece vengono ben apprezzati dai giocatori quando la scorrevolezza dei greens è posta intorno ai 2,25 metri.





Le regole dello Staff manutentivo
a cura di Paolo Croce

Non c'è dubbio alcuno che il lavoro di un Superintendent sia nella maggior parte dei casi influenzato da una miriade di norme, consuetudini, scritte e non scritte, che riguardano la scienza dell'agronomia, della chimica e fisica del suolo e, perché no?, della climatologia. Forse però non tutti realizzano che anche le Regole del Golf devono essere un costante riferimento nella professione di manutentore e costruttore di manti erbosi. Ciò è probabilmente persino più vero oggi che in passato, tanto che, in certe situazioni, estetica e agronomia rappresentano un fattore secondario rispetto alla possibilità di preparare il percorso secondo le "Regole del Golf".
Questo certo non significa che un Superintendent sia in qualche modo "costretto" a tenere a mente le oltre 26.500 parole (stima della rivista Golf Course Management) che USGA e R&A dedicano alla regolamentazione del nostro sport. Ma è certo che una buona conoscenza del gioco del golf da parte del manutentore sia meglio in grado di interpretare le esigenze tecniche richieste dalle Regole. Il cercare di assicurare il miglior lie possibile alla palla, l'evitare situazioni dubbie rispetto allo stesso lie (siamo in fairway o in semi rough?), l'offrire per quanto nelle possibilità, generali condizioni "fair" di gioco, sono solo alcuni degli stimoli che un buon Superintendent deve possedere.
Qualcuno leggendo queste righe potrà certo pensare: ecco! L'avevo detto io! La staff della manutenzione deve lavorare meglio in questa chiave e cercare di migliorare ancor di più la velocità dei greens, ridurre la percentuale di Poa annua, permettere di ritrovare la pallina anche nei roughs…ecc. ecc. In verità sarebbe opportuno non confondere tra Regole del Golf e desideri del golfista che, per quanto degni del massimo rispetto e della dovuta attenzione da parte del Superintendent, poco hanno a che fare con la premiata Ditta R&A e USGA. D'altronde i desiderata golfistici sono in parte comuni in tutte le latitudini, ma in parte si differenziano alquanto. Potete immaginare gli sforzi che sui nuovi percorsi vengono fatti per cercare ad esempio di ridurre l'infestazione di Poa annua sui greens. Questa non è solo una precisa esigenza agronomica e climatica: è anche una decisa richiesta dei membri dei club in genere. Ebbene che dire allora dei soci del Congressional Golf Club di Washington DC (uno dei Circoli più prestigiosi della costa est degli Stati Uniti, tra l’altro il campo del Presidente) i quali si rifiutano di sostituire il tappeto erboso dei greens in pura Poa annua, con cultivars di Agrostis stolonifera. Il motivo? Trovano decisamente più puttabili le superfici in Poa che non quelle in Agrostis. E tutto sommato, in considerazione di quelle condizioni climatiche, sotto certi aspetti non hanno neanche tutti i torti.
Quello che invece si vuole sostenere è che in realtà una buona conoscenza delle Regole del Golf, relativamente agli ostacoli creati dalla manutenzione, è certamente utile al golfista per toglierlo d'impaccio in frangenti particolari. Facciamo alcuni esempi:
  • I componenti lo staff della manutenzione sono da considerarsi agenti estranei rispetto ai giocatori e nel caso in cui la palla venga mossa da uno di loro essa dovrà essere ripiazzata senza penalità; se la palla in movimento viene , sempre da essi, deviata o fermata si tratta di una “deviazione accidentale” e la palla dovrà essere giocata come si trova.
  • Gli equipaggiamenti (macchinari, ecc) sono da considerarsi ostruzioni quando parcheggiati (movibili o inamovibili a seconda se facilmente spostabili o meno) per cui si procederà conformemente alle Regole 24-1 e 24/2 oppure agenti estranei quando in movimento per cui ci si comporterà come al punto precedente.
  • Una palla danneggiata in seguito ad un intervento di un macchinario e/o da un equipaggiamento può essere sostituita e ripiazzata.

Certo normalmente la squadra di manutenzione tende a non occupare il percorso quando si sta disputando una gara, ma, occorre considerare che con l'attuale frequenza di gare nei nostri circoli, occorrerà giocoforza in un futuro molto prossimo compiere alcune manutenzioni durante la disputa della gara stessa. E poi perché mai, quando si giocano semplici partite tra amici, si deve giocare senza regole?